Collegi • De Carlo
I Collegi di Giancarlo De Carlo sono pieni di punti di vista e forme accattivanti e siccome il disegno del suo progetto abbonda di dettagli e particolari interessanti si cade spesso nella tentazione di fotografarli. Tendenzialmente le immagini prodotte in questo luogo possono essere richiamate dal luogo stesso, possono cioè mostrarsi all'osservatore in modo quasi autonomo, emergere senza fatica. Il fotografo che si trova d'innanzi a questo labirinto di forme così affascinanti non può far altro che cedere all'impulso di immortalare quella finestra angolare, quei piani sfalsati, quel corrimano, quei cerchi di vetro, quel piano ribassato, quella sedia in legno ma anche quella natura che così bene s'innesta nel costruito. Tutto o quasi di questo progetto, al netto della critica architettonica più egoista, si salva all'occhio rapace del visitatore.
Queste considerazioni ci hanno spinti quindi a pensare al problema della rappresentazione dello spazio e a come questa possa ondeggiare tra un piano soggettivo e uno oggettivo. Si può chiamare rappresentazione anche quella non intenzionale, ovvero quella che non necessariamente scaturisce da intenti estetici? Si può evitare di mettere in forma prescindendo il più possibile dai filtri culturali sui quali la nostra cultura è fondata? Possiamo affrancarci dal vedere riconoscendo e cominciare a guardare conoscendo?
Questi piccoli esperimenti, chiamati derive ricalcaldo le azioni di alcuni personaggi alternativi intorno al 1950 e riuniti sotto il nome di Lettristi, con a capo Debord e Ivain, cercano di rispondere in parte a questo problema che mai quanto oggi, epoca in cui è in atto lo stravizio dell'autore di plasmare il mondo che vede, è necessario porre per ridimensionarsi. Per dirsi, ancora una volta, che molto poco di quello che ci è dato di vedere, sentire e gustare ha bisogno dell'esclusivo sguardo altrui per essere apprezzato.
Vedi anche: Meridiana e Urbino • sketchbook